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Un voto capitale. Parla Giovanni Caudo

Nella sede del comitato elettorale di via Volsinio il giornalista Ettore Siniscalchi intervista Giovanni Caudo per la rivista Ytali, poco prima dell’evento di apertura della campagna elettorale con Roberto Gualtieri, con la partecipazione della sindaca di barcellona Ada Colau.

Caudo argomenta più che affermare, si nota che son temi che ha toccato un milione di volte ma si impegna per farsi capire. Non pratica lo slogan o il giudizio tranchant. Ha un eloquio discorsivo, regolare ma non monotono, addolcito da qualche inflessione siciliana e ravvivato da gergalità romanesche. Forse perché docente, ricorda un’ormai inusuale figura di dirigente politico – senza partito, in un’epoca in cui i partiti hanno smesso di fare pedagogia – sempre impegnato a analizzare, confrontare i dati, contestualizzare, far capire quel che ha capito e come, prospettare soluzioni possibili a questioni concrete

Dove si trova, nella politica di oggi, la capacità di fare sintesi tra le conoscenze che si hanno su questa città per farle diventare programma di governo, per pensare la città di domani?

Io penso che il compito di Roberto Gualtieri sia questo. È una persona che ha lo standing giusto. È docente di storia, ha grande esperienza europea, ha trattato da pari a pari nel governo dell’Ue. Può essere l’interlocutore giusto perché l’esperienza di governo dei prossimi cinque anni non sia una in cui si ripresentano le solite cricche del centrosinistra, che ci sia la possibilità di alzare lo sguardo. Questo è il mio investimento, io sto investendo su Roberto e sulla sua capacità.

Bisogna che sia chiaro, secondo Caudo, che una città richiede la capacità di governare fenomeni complessi, non semplicimente di amministrare.

E sul tema della pluralità di liste a sinistra del PD, non tutte in appoggio a Gualtieri, Caudo risponde:

So che le resistenze sono tantissime, non a caso abbiamo voluto fare una lista indipendente, leale ma autonoma. Riteniamo che sia da sprone e consenta ai romani di avere un’opportunità: votare il centrosinistra – quindi mantenere un legame coi valori di una città profondamente legata alla cultura del centrosinistra – ma potersi permettere di non votare i soliti, quelli che vengono accusati di essere in qualche modo quelli che replicano i mali di questa città. Oggi – grazie alla fatica che stiamo facendo insieme a Radicali, Pop, Volt, Possibile e tutti quelli che ci stanno vicini – presentiamo liste in quindici municipi, con 203 candidati e 37 al Comune. Una costruzione fatta in un mese. Un miracolo? No, perché c’eravamo già prima, abbiamo amministrato, governato, costruito reti sul territorio. Questa è la prospettiva che portiamo nel centrosinistra.
C’è ancora un frattura tra il centrosinistra e il suo elettorato. Noi vogliamo essere parte di un processo per ricostruire questo legame e penso che dare una preferenza a Roma futura sia un segnale a tutto il centrosinistra. Se vinciamo non è che il giorno dopo si dice: ‘Ricominciamo come se niente fosse’. Se vinciamo è perché abbiamo portato al voto l’esigenza di cambiare e strutturare in modo diverso il pensiero e l’azione del centrosinistra.

E sul debito di “Roma Ladrona”:

Parlare di debito nasconde che Roma ha avuto per tanti anni il ruolo di capitale. Di chi è, qualcuno è andato a cercare cosa c’è dentro? Non è debito degli ultimi anni: è quello di una città che non esisteva e ha svolto un ruolo, che può essere raccontata come un’epopea nazionale non come “Roma ladrona”, che ha dato dignità e riscatto sociale a milioni di italiani, anche poveri, che venivano dal sud, dal centro, dal Veneto. Se uno va a vedere cosa c’è dentro trova per esempio il Cotral [la vecchia azienda di trasporto regionale] che prima era assieme a Atac. Raggi dice: “Abbiamo trovato i buffi [Debiti in romanesco]! Non è vero, erano già risolti con quanto fatto da Berlusconi e Tremonti: Roma è l’unica città d’Italia che ha il piano di rientro per legge! Una regione come la Calabria ha miliardi di debiti sulla sanità e rinegozia ogni tre mesi il rientro col ministero dell’Economia, Roma ha il rientro obbligato, unica città d’Italia, trattata dallo Stato peggio dell’ultimo paesino.

La macchina amministrativa di Roma per Caudo non è all’altezza, ma non perché elefantiaca.

La macchina non esiste. Roma ha un dirigente apicale ogni cento impiegati [nel settore privato il rapporto è tra il due il quattro per cento]. Senza nulla togliere alla bravura di Sergio Rizzo e degli altri, questa cosa che Roma abbia più dipendenti della Fiat non si può sentire. C’è di vero che non si è fatta programmazione, che City manager e segretario generale sono state la stessa persona e quindi non abbiamo avuto il City manager. A Milano Sala lo era per Moratti. Una città ha bisogno di qualcuno che non è un politico, che ha un orizzonte più lungo e guarda alla macchina. Qui siamo al punto che i dirigenti sono andati in pensione senza nessuna programmazione di sostituzione. Si sono perse tantissime conoscenze di una dirigenza come quella capitolina che storicamente era la crème de la crème dello stato italiano, competeva con quella nazionale. Ci sono bravissimi operatori ma non sono formati come si dovrebbe.

Guardiamo a quelle “piccole cose fuori controllo” che rendono la giornata romana una pena per chi la vive.

Ci sono cose esiziali per i cittadini, rifiuti, trasporti, cura del verde. Ma mi permetto di dire che sono soprattutto frutto della mancanza di governo: che i marciapiedi siano una giungla non è un problema delle grandi città, la raccolta dei rifiuti si può fare meglio. Altra cosa è ripensare il ciclo. Perché scontiamo un ritardo, abbiamo avuto grandi sindaci ma Roma buttava tutto in una buca sino al 2013 [anno di chiusura della discarica di Malagrotta, con atto comune tra il sindaco Ignazio Marino e il presidente Nicola Zingaretti]. Altre città, non Copenaghen ma Grottaferrata qui ai Castelli, facevano la differenziata. Non ci fu il coraggio di cui c’era bisogno. I rifiuti sono una filiera industriale, siamo l’unica città d’Europa che raccoglie e non sa dove metterli. Va cambiato il modello. Sono senza dubbio per una fusione tra Ama e Acea che ha già dentro un suo nucleo, soprattutto di impianti: il termovalorizzatore di San Vittore che serve la Regione ha ancora una capienza di 350 mila tonnellate da sfruttare, che è quello che serve a Roma, perché se portiamo la differenziata al 65 per cento tanto produciamo di indifferenziata. Non dobbiamo fare gli impianti, come dice Calenda, ci sono. Poi dobbiamo organizzare la filiera del differenziato, plastica, carta e soprattutto l’umido. Noi ora lo mandiamo a Bergamo pagando cinquecento euro a tonnellata. C’è una grande azienda agricola di 750 ettari, in parte nel mio municipio. Con Ama siamo andati a parlarci. Per trattarlo, usandolo come ammendante nei loro terreni, chiederebbero 140 euro a tonnellata. Loro fanno l’impianto, noi risparmiamo 360 euro a tonnellata. Se facessimo cinque-sei impianti come questi nelle grandi aziende agricole che ci sono – alcune pubbliche, come i 2.400 ettari di Castel di Guido – saremmo autonomi.

Atac. L’approccio di Caudo è distinto, sia rispetto alle liste a sinistra del Pd che a 5S e al diviso centrodestra.

È sempre Guelfi e Ghibellini. Invece di discutere e di studiare i problemi ci si colloca da una parte o dall’altra, a prescindere. Ogni operazione ha bisogno di un prima: capire questo sistema di trasporti come deve essere programmato e funzionale. L’ultima programmazione è quella di Walter Tocci [assessore alla mobilità e vicesindaco nelle giunte di Francesco Rutelli, dal 1993 al 2011], son passati vent’anni. Oggi abbiamo Metrovia e Metro C che disegnano il futuro dei trasporti di questa città, anche con soluzioni niente male, e l’unico che non disegna il futuro dei trasporti a Roma è il Comune! Bisogna riprendere quello sguardo di programmazione di Tocci e aggiornarlo, fare il massimo di connessione tra la superficie e il sistema di trasporto su ferro – abbiamo oltre duecento stazioni, non dobbiamo costruirle. Fatto questo disegno complessivo si chiedono i soldi al ministero. Perché le risorse ci sono: Napoli la metropolitana l’ha fatta coi soldi dello Stato, noi siamo gli unici che non sanno dove prenderli perché non abbiamo i progetti. Fatta la programmazione, passati all’attuazione dei cantieri, ci si chiede: questo modello come si gestisce? Certo, pubblico, ma se ci sono cose che conviene far fare al privato? Vuol dire privatizzare o renderlo più efficiente, perché il trasporto pubblico funziona se io la mattina vado a prendere l’autobus, mi siedo e magari nel tragitto leggo un libro, non se lo finisco aspettando. C’è da dare al privato un ramo minore? A condizione che il contratto di servizio sia quello che serve alla città. Noi paghiamo 110 milioni di chilometri/anno all’Atac che ne fa 95, perché non hanno i mezzi per fare tutte le corse programmate. E in quei 95 milioni ci sono anche i guasti, gli “autobus flambé”, perché da contratto di servizio se il mezzo esce dal deposito si conteggia tutto il tragitto anche se si rompe un minuto dopo. O ci piace questo pubblico o siamo privatizzatori? Sono stupidaggini, la cultura di sinistra è quella che si misura con la complessità delle questioni, non che le banalizza.

Non si può banalizzare a Roma, città “costretta” a immaginare il futuro.

Quello che manca nella politica in questo momento è chiedersi qual è il futuro di questa città, quali il nuovo modello di sviluppo economico, il nuovo patto di coesione sociale? Negli anni Novanta le grandi capitali hanno ridisegnato il loro ruolo non più solo come capitali ma nell’essere parte di reti di città mondiali, Roma questa cosa non l’ha fatta”. Siamo ancora alla legge su Roma capitale, Bettino Craxi presidente del Consiglio. “1989, primo firmatario Antonio Cederna. Ed era ancora una legge di prima del cambiamento epocale. Se oggi dovessimo fare una norma su Roma dovremmo aggiornare proprio il linguaggio.

Ma è sempre richiesto ai candidati di dare una risposta su cosa si può fare subito, cosa ci si può aspettare nei fatidici primi 100 giorni:

È necessario mettere mano alla struttura amministrativa e si può cominciare da subito. Abbiamo un regolamento comunale che si può modificare in Aula per dare più poteri e più risorse ai municipi. È la cosa più urgente. Sono presidente di un municipio di 220 mila abitanti, più di Parma, esteso quasi come Firenze, ho i poteri di un amministratore di condominio. Nel comune di Monterotondo, qui a fianco, quarantamila abitanti, il sindaco può decidere tutto; io per chiudere una strada devo chiedere alla sindaca. Se pensi di affidarti a questa amministrazione così organizzata è un fallimento totale. Si può agire rapidamente, intanto modificando il Regolamento comunale.

Poi però è l’idea di governo di Roma che va completamente ripensata, perché la città è cambiata.

Vanno riconosciuti a questa città dei poteri e un contributo diretto, come le altre grandi capitali. Bisogna costruire una governance, riconoscendo i comuni come comuni metropolitani, e ridisegnandoli. C’è uno studio che individua l’Urbe, la città storica più la prima città consolidata, poco al di là dell’anello ferroviario, e poi nove comuni attorno al Gra. Oggi sono periferia di Roma e di Frascati, domani diventerebbero centralità. Creare nuove centralità, disegnare l’Urbe, il cuore centrale della città, e queste nuove città intorno, più Ostia

Alla domanda sul Grande Raccordo Anulare, il GRA, il punto di vista di Caudo :

è la tangenziale interna di questo sistema di nove città che vi gravitano attorno; hanno 100, 200, 300 mila abitanti, il cinquanta per cento degli impiegati privati si muove attorno al Gra. Si tratta di dare una dimensione policentrica a un territorio grande come una provincia, perché quando si dice vado a Centocelle, è come se da Milano mi spostassi nel secondo o terzo comune di cintura. E c’è il tema di capire cosa fare di questo territorio che è molto più grande del comune – ci sono circa sei milioni di persone che gravitano attorno a Roma, i primi trenta comuni attorno alla città sono comuni di romani, solo negli ultimi anni sono andati a vivere fuori in 130 mila e ci tornano a lavorare ogni mattina. Ci sono da prendere delle decisioni e bisogna capire chi le prende. Per esempio, e questa è una critica, il piano della Regione Lazio sui rifiuti per cui l’ambito ottimale è il comune di Roma non va, perché l’ambito ottimale di gestione del ciclo dei rifiuto è quanto meno provinciale, ci sono 600 mila romani di fuori che consumano a Roma.

La prossima consiliatura, con l’eventuale giunta Gualtieri, nella visione di Caudo, dovrà essere costituente e definire un altro ruolo della città metropolitana con importanti deleghe regionali proprie della città di Roma. Mentre oggi Roma

È una città medievale, un protettorato. Se si vedono gli investimenti esteri, l’anno scorso, con la pandemia, abbiamo avuto 180-200 milioni di euro in un anno, Milano 3,5 miliardi. Perché Roma è così avversa agli investimenti esteri? Quando ci si chiede che differenza c’è rispetto alle altre liste di sinistra, è che noi non siamo massimalisti, non pensiamo che Roma sia una città neoliberista. È un protettorato e questo la soffoca, l’assistenzialismo statale si riduce e trascina l’economia su un piano inclinato che sta portando questa città verso seri problemi di povertà. La povertà esplosa col Covid era latente, frutto anche del fatto che da diverso tempo non si capisce più il modello economico di fondo di questa città. Di che campano i romani? Quello che sappiamo è che nella crisi del 2008, per la prima volta nella storia, Roma perde più Pil della media nazionale. Uno spartiacque: davanti alle grandi crisi finanziarie aveva sempre funzionato da contrappeso. E inizia una storia che ancora non è stata ripresa, perché se ci facciamo la domanda ‘Di che campa Roma?’ credo che pochi saranno in grado di rispondere.

E la risposta di Caudo al giornalista che gli pone la domanda “di che campa Roma?” è :

S’arrangia. Campa di alcune eccellenze, di alcune nicchie, di un ancora importante ruolo della pubblica amministrazione, del turismo e poi, in buona parte, con un’economia di sostentamento. E l’arrivo della criminalità organizzata, di cui in questa campagna non si parla per nulla, lo conferma. Dove c’è un’economia fragile, quella di Roma lo è diventata, arriva l’economia alternativa della malavita. Compra, vende, assume. Roma è a un giro di boa. O si avverte con chiarezza l’esigenza di portarla nel XXI secolo con coraggio e scelte radicali oppure questa città vivrà di un’economia di sussistenza, come Il Cairo, come Istanbul.

Spingere la Città eterna nel XXI secolo. Niente di meno serve a Roma.

Roma ha bisogno di un grande patto tra scienza, industria e amministrazione pubblica. È questo che si deve intestare il sindaco: la città ha bisogno di ridefinire il suo patto fondativo. Scienza vuol dire tutti i centri di ricerca, pubblica, privata, internazionale; industria è un tessuto che c’è ed è importante, siamo tra i pochi territori d’Europa che è in grado per esempio di produrre vaccini, se guardiamo alla Roma dei sei milioni, siamo il secondo numero di addetti dopo Milano, il primo sistema logistico italiano, altro che Roma sussidiata. Serve un patto che mette insieme università, centri di ricerca, città, industria; in cui come pubblico dài servizi, vedi come e dove offrire mobilità e chiedi in cambio investimenti sul territorio, assunzioni per i neolaureati del territorio, sono tante le dinamiche possibili. Un grande investimento non solo pubblico ma della comunità. Bisogna riprendere la sfida della complessità di questa città. Chiunque si metta in testa di candidarsi a governare questi processi ha bisogno di una coalizione ampia, di tante persone. Gualtieri va in questa direzione, non fa che sottolineare questa dimensione larga, la voglia di essere il rappresentante della coalizione, non solo il candidato del Pd. Chi fa questa cosa in una città come Roma acquista un ruolo internazionale. Spero e credo che lui abbia questa ambizione.

Qui l’intervista rilasciata da Giovanni Caudo a Ytali.

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